lunedì 25 maggio 2015

PROGETTO LETTURA. FOLIGNO. LICEO FREZZI-BEATA ANGELA. ANTROPOLOGIA CULTURALE. INCONTRO CON ANDREA STAID SU "I DANNATI DELLA METROPOLI". UNA INTRODUZIONE, di MARIO FAGOTTO F. - 25 maggio 2015

IL TITOLO. Credo si tratti di una parafrasi/riformulazione del titolo di una delle opere più note di Frantz Fanon (I DANNATI DELLA TERRA, 1961) un intellettuale originario della Martinica francese, protagonista di quella tendenza del pensiero del Novecento che ha riflettuto sugli effetti del colonialismo e sulle “costruzioni” psico-mentali e ideologico-politiche prodotte dalla dialettica colonizzato-colonizzatore.



Fanon, che combatte in Europa fra le fila degli alleati contro il nazi-fascismo per poi diventare medico-psichiatra e diventare uno dei simboli della rivolta anti-francese in Algeria dove aveva chiesto di svolgere, appunto, la professione di medico.
Fanon, di cui è stata ricordata recentemente la sua “passione per la cura altrui”, una sensibilità per la sofferenza psico-esistenziale di coloro che verranno definiti, appunto, i “dannati della terra”.
Per cui, la prima questione potrebbe essere proprio questa: l’esperienza che Lei racconta in questo saggio è anche un resoconto di tante vite umiliate dalla violenza razziale, economica e culturale di nuove forme di imperialismo/colonialismo che strutturano il nostro tempo globalizzato? Il dare la parola ai migranti attraverso una pratica dialogica intensamente cercata nel tentativo di evitare qualsiasi forma di asimmetria e di potere, è simile al tentativo di Fanon di restituire al nord-africano la sua effettiva identità?

MIGRANTI ED ECONOMIA. Il secondo punto potrebbe riguardare il rapporto fra migrazione ed economia. Nel saggio la dimensione economica è, di fatto, quella dimensione all’interno della quale si svolge il dramma dei migranti. Condannati ad entrare, prevalentemente, all’interno del sistema dell’”economia informale”, la ricerca si sofferma, poi, su quelle persone che escono da questo sistema già per sé illegale, per perdersi definitivamente nei territori della devianza e della marginalità. Non credo si sia fatto abbastanza in questi anni per spiegare i meccanismi di sfruttamento della migrazione, né quando si parla di migranti che abbandonano il loro Paese, né quando si parla di delocalizzazione.

RAZZISMO. Il terzo punto, anche facendo riferimento a vicende recenti, riguarda il razzismo che scopriamo dalle interviste e dalle dichiarazioni delle persone che appaiono nel libro. Molti di questi racconti rivelano violenze continue in tutti i passaggi e paesaggi che devono essere attraversati dai migranti.  I territori attraversati da queste persone ci consentono di esaminare un complesso multiculturale segnato da soprusi ed angherie di ogni tipo. E quando queste persone arrivano a casa nostra, le cose e gli atteggiamenti non cambiano affatto. Come dire che c’è un continuum etnocentrico che attraversa, contraddittoriamente, quel processo omologante e politicamente corretto che dovrebbe essere, invece, la globalizzazione.


METODO. Il quarto ed ultimo punto fa riferimento, invece, alla metodologia usata nella ricerca. Siamo rimasti colpiti dalla accentuazione che è stata data alla costruzione delle relazioni con queste persone. Che dunque deve essere stata la cosa più difficile da realizzare. Alcune domande che sono state preparate riguardano proprio le strategie che sono state usate per costruire la “relazione giusta” ed avviare la pratica dell’intervista.

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