venerdì 3 aprile 2015

CRITICA DELLE NUOVE TECNOLOGIE. SOCIAL MEDIA E DIPENDENZE PATOLOGICHE. A. DI PIETRO, Quando i social ti bruciano e devi scappare nel mondo reale, LA STAMPA, 3 aprile 2015

L’opinionista francese Guy Birenbaum ha scritto «Vous m’avez manqué - Histoire d’une dépression française» (Arènes) per raccontare come è uscito da una depressione di cui l’iperconnessione era un sintomo, non la causa. Per fortuna, non un peana contro i social ma la sua storia personale di “naufrago di Twitter” (definizione di Le Monde), “pieno di rabbia” e “schiantato dalla violenza” dei commenti razzisti e xenofobi. Birenbaum non li ignorava né li faceva scivolare, al contrario, gli permetteva di entrare dentro di lui, ad essi reagiva e a sua volta ne scatenava altri in un flame che poi finisce per bruciarti davvero anche fuori dal video.  




Quando accade, disconnettersi è saggio e fruttuoso. Almeno per me è stato così. Nel 2011, a causa di una mia inchiesta sulle donne neofasciste a Roma mi ritrovai al centro di un flame su Facebook e su Twitter. Ad accenderlo fu un collettivo femminista, ad agitarlo alcuni militanti di sinistra, tra di loro persone che conoscevo e mi conoscevano, sapevano che mai avrei potuto essere anche solo per un equivoco schierata con i neofascisti ma non ci fu tempo per questi essenziali dettagli. Rispondevo a tutto e a tutti fino a quando uno sconosciuto scrisse un tweet che suonava come «Ti veniamo sotto casa». Reagii con rabbia ma alla sera, davanti al cancello del garage, con i bambini, ad un rumore improvviso, ebbi un attacco di tachicardia. E fu il crollo. Twitter mi era entrato in casa e seppur quella violenza era solo verbale la percepivo come vera. Decisi di staccare la connessione, mollai le password ad un amico che si occupò di fronteggiare e soprattutto di calmierare gli attacchi e scappai nel mondo reale.  

Me ne andai proprio dall’Italia - era Natale - e fu uno sforzo enorme non pensarci, ma mi permise di sentirmi al sicuro, di rimettere un confine tra la Rete e la mia vita personale, di uscire da una sorta di burn out. Dopo un paio di mesi tornai su Facebook e anche su Twitter, ora sono anche su Instangram, sono una vera social person, li uso e mi divertono, ma da quell’esperienza ho imparato alcune cose.  
1) Ci sono argomenti sensibili su cui in 140 caratteri generi confusione e non opinione.  
2) Riconosco un flame e ne sto lontana  
3)Smetto quando voglio, sono capace di mollare i miei social, l’ho fatto una volta, lo posso rifare.  

La stanza degli specchi di Twitter o Facebook può sembrare maledettamente vera, ma se ne esci ti rendi conto che è solo un irreale effetto moltiplicazione. Per esserne consapevole ho pagato il mio prezzo, Birenbaum l’ha scoperto con la depressione, alcuni lo sanno già e trovano divertente litigare con tutti (li ammiro ma non sono io), gli altri fanno bene a crederci. Gratis. 

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