giovedì 14 novembre 2013

SOCIOLOGIA URBANA. F. ENGELS, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Rinascita, 1955 (Die Lage der arbeitenden Klasse in England nach eigner Anschauung und authentischen Quellen, 1845)

 Manchester e Londra, da La situazione della classe operaia in Inghilterra, Rinascita, 1955 (Die Lage der arbeitenden Klasse in England nach eigner Anschauung und authentischen Quellen, 1845)



 Friedrich Engels nacque a Barmen (Wuppertal) nel 1820, primogenito di un ricco industriale tessile. Vincolato suo malgrado all’attività familiare, assunse le vesti atipiche di imprenditore-rivoluzionario, volgendo la sua lunga consuetudine con il proletariato urbano in critica teorica della società capitalistica e in organizzazione della lotta politica contro di essa. Dopo il ginnasio si trasferì a Brema e poi a Berlino (1841), dove iniziò a collaborare alla “Gazzetta renana”, di cui conobbe il direttore, Karl Marx, diventandone in seguito amico. A compimento della sua formazione imprenditoriale fu inviato dal padre a Manchester, nel cotonificio Ermen & Engels, appunto di comproprietà paterna: questo primo soggiorno inglese si trasformò in un’occasione per raccogliere una vasta documentazione sulla composizione del proletariato britannico, da cui sarebbe poi nato La situazione della classe operaia in Inghilterra, scritto al ritorno in Germania e pubblicato nel 1845. La collaborazione con Marx prese avvio con gli interventi sugli “Annali franco-tedeschi”, pubblicati a Parigi nel 1844, e continuò con opere di critica filosofica (La sacra famiglia, 1844, e L’ideologia tedesca, 1845-46, entrambe rivolte contro la sinistra hegeliana) e con la redazione de Il manifesto del partito comunista (1848). Partecipò alla rivoluzione tedesca degli anni 1848-49, fallita la quale riparò in Inghilterra, riprendendo l’attività industriale e, a partire dal 1864 (Prima internazionale), la militanza politica, quale figura di primo piano del marxismo europeo. Morì nel 1895.
La situazione della classe operaia in Inghilterra è una delle fonti più note per la conoscenza della prima rivoluzione industriale inglese, sulla quale Engels raccolse una grossa mole di materiale documentario. Il libro esamina la formazione del proletariato industriale, i diversi settori di lavoro, le associazioni e i movimenti degli operai, e l’atteggiamento della borghesia nei confronti del proletariato. Il capitolo terzo, di cui riproduciamo alcune pagine, descrive alcune città industriali.

   (…) Manchester [...] comprende quattrocentomila persone, piuttosto più che meno. La città stessa è costruita in modo singolare e si potrebbe abitarvi per anni e entrarvi e uscirne ogni giorno senza mai venire a contatto con un quartiere operaio o anche soltanto con operai, almeno fino a quando ci si limitasse a seguire i propri affari o ad andare a passeggio. E ciò deriva principalmente dal fatto che, per un tacito, inconsapevole accordo, come pure per una consapevole ed espressa intenzione, i quartieri operai sono nettamente separati dai quartieri destinati alla classe media, ovvero, dove ciò non è possibile, sono stati coperti con il manto della carità. Nel centro Manchester ha un quartiere commerciale abbastanza esteso, lungo circa mezzo miglio, e largo altrettanto, composto quasi esclusivamente di uffici e di magazzini (warehouses). In tutto il quartiere non vi sono quasi case d’abitazione, e di notte esso è deserto e solitario, e solamente i poliziotti di guardia con le loro lanterne cieche percorrono le sue strade anguste e buie. Questa zona è attraversata da alcune vie principali, sulle quali si affolla l’immenso traffico, e nelle quali il pianterreno delle case è occupato da eleganti negozi; qua e là in queste vie alcuni dei piani superiori sono abitati, e alla sera fino a tardi vi è una certa animazione. Ad eccezione del quartiere commerciale, tutta la vera Manchester, tutta Salford e Hulme, una parte notevole di Pendleton e Chorlton, due terzi di Ardwick e singole strisce di Cheetham Hill e di Broughton non sono che un unico quartiere operaio, che, simile ad una fascia larga in media un miglio e mezzo, cinge il quartiere commerciale. Fuori, oltre questa fascia, abita la media e alta borghesia. [...] Ma il più bello in tutto ciò è che questi ricchi aristocratici del denaro possono attraversare i quartieri operai seguendo la strada più diretta per arrivare ai loro uffici al centro della città, senza neppure accorgersi di passare accanto alla più sudicia miseria che si stende tutt’intorno. Infatti le strade principali che dalla Borsa conducono in tutte le direzioni fuori di città sono occupate ai due lati da una fila quasi ininterrotta di negozi, e si trovano così nelle mani della piccola e media borghesia, la quale se non altro per motivi di interesse mantiene e può mantenere un aspetto più decoroso e pulito. [...]
Dirò ancora che gli stabilimenti industriali sono disposti quasi tutti lungo il corso dei tre fiumi o dei diversi canali che si diramano per la città, e passo quindi direttamente a illustrare i quartieri operai. Ecco in primo luogo la città vecchia di Manchester, che si stende tra il margine settentrionale del quartiere commerciale e l’Irk. Qui le strade, anche le migliori, sono strette e tortuose, le case sporche, vecchie e cadenti, e l’aspetto delle strade laterali è assolutamente orribile. Giungendo a Long Millgate dalla Chiesa vecchia, si ha subito a destra una fila di case antiquate, nelle quali neppure uno solo dei muri frontali è rimasto diritto; sono i resti della vecchia Manchester pre-industriale, i cui antichi abitanti si sono trasferiti con i loro discendenti in quartieri meglio costruiti, lasciando le case, divenute per essi troppo misere, ad una razza di operai fortemente mescolata con sangue irlandese. Qui siamo realmente in un quartiere quasi dichiaratamente operaio, poiché anche i negozi e le osterie non si prendono la briga di apparire un po’ puliti. Ma questo non è ancor nulla a paragone delle viuzze e dei cortili che si stendono dietro di esse, e ai quali si arriva soltanto per mezzo di stretti passaggi coperti attraverso i quali non passano neppure due persone l’una accanto all’altra. È difficile immaginare la disordinata mescolanza delle case, che si fa beffe di ogni urbanistica razionale, l’ammassamento, per cui sono letteralmente addossate le une alle altre. E la colpa non è soltanto degli edifici sopravvissuti ai vecchi tempi di Manchester: in tempi più recenti la confusione è stata portata al massimo, poiché dovunque vi fosse un pezzetto di spazio tra le costruzioni dell’epoca precedente, si è continuato a costruire e a rappezzare, fino a togliere tra le case anche l’ultimo pollice di terra libera ancora suscettibile di essere utilizzata. [...]
   In basso scorre, o meglio ristagna l’Irk, un fiume stretto, nerastro, puzzolente, pieno di immondizie e di rifiuti che riversa sulla riva destra, più piatta; con il tempo asciutto su questa riva resta una lunga fila di ripugnanti pozzanghere fangose, verdastre, dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile anche per chi sta sul ponte, quaranta o cinquanta piedi sopra il livello dell’acqua. Per di più ad ogni passo il fiume si trova ostacolato da alti argini, dietro i quali si depositano e imputridiscono in grandi quantità il fango e i rifiuti. In capo al ponte, stanno grandi concerie, più sopra ancora tintorie, mulini per polverizzare ossa, e gasometri, i cui canali di scolo e rifiuti si riversano tutti nell’Irk, che raccoglie inoltre anche il contenuto delle attigue fognature e latrine. È facile immaginare, dunque, di quale natura siano i depositi che il fiume lascia dietro di sé. A piè del ponte si vedono le macerie, l’immondizia, il sudiciume e la rovina dei cortili che danno sulla ripida riva sinistra; una casa segue immediatamente l’altra, e, per l’inclinazione della riva se ne vede di ciascuna un pezzo: tutte nere di fumo, sgretolate, vecchie, con le intelaiature e i vetri delle finestre in pezzi. Lo sfondo è formato da vecchi stabilimenti industriali simili a caserme. Sulla riva destra, più pianeggiante, vi è una lunga serie di case e di fabbriche; già la seconda casa è diroccata, senza tetto, piena di macerie, e la terza è così bassa che il piano inferiore è inabitabile e quindi è sprovvisto di finestre e di porte. Lo sfondo è costituito qui dal cimitero dei poveri, dalle stazioni delle ferrovie di Liverpool e di Leeds, e dietro ad esse è la casa di correzione, la «Bastiglia della legge sui poveri» di Manchester, che come una cittadella guarda minacciosa dall’alto di una collina, dietro alte mura e merli, verso il quartiere operaio che si trova di fronte.(…)

 (…) Non conosco nulla di più imponente della vista che offre il Tamigi quando si naviga dal mare verso il ponte di Londra. Gli ammassi di case, i cantieri da ambedue le parti, soprattutto dopo Woolwich, gli innumerevoli bastimenti che si ammucchiano sempre più fitti lungo le due rive e da ultimo non lasciano libero che uno stretto passaggio nel mezzo del fiume, un passaggio nel quale si incontrano e si sorpassano a vicenda con grande rapidità decine e decine di piroscafi: tutto ciò è così grandioso, così immenso da dare le vertigini, e si resta sbalorditi dalla grandezza dell’Inghilterra ancor prima di mettere piede sul suolo inglese.
Ma è solo in seguito che si scopre quanti sacrifici sia costato tutto ciò. Dopo aver calcato per qualche giorno il selciato delle strade principali, dopo esser penetrati con grande fatica nel brulicare umano, tra le file interminabili di carri e carrozze, dopo aver visitato i “quartieri brutti” della metropoli, soltanto allora si rileva che questi londinesi hanno dovuto sacrificare la parte migliore della loro umanità per compiere tutti quei miracoli di civiltà di cui la loro città è piena, che centinaia di forze latenti in essi sono rimaste inattive e sono state soffocate affinché alcune poche potessero svilupparsi più compiutamente e moltiplicarsi mediante l’unione con quelle di altri. Già il traffico delle strade ha qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. Le centinaia di migliaia di individui di tutte le classi e di tutti i ceti che si urtano tra loro non sono tutti quanti uomini con le stesse qualità e capacità, e con lo stesso desiderio di essere felici? E non devono forse tutti quanti, alla fine, ricercare la felicità per le stesse vie e con gli stessi mezzi? Eppure si passano davanti in fretta come se non avessero nulla in comune, nulla a che fare l’uno con l’altro, e tra loro vi è solo il tacito accordo per cui ciascuno si tiene sulla parte del marciapiede alla sua destra, affinché le due correnti della calca, che si precipitano in direzioni opposte, non si ostacolino a vicenda il cammino; eppure nessuno pensa di degnare gli altri di uno sguardo. La brutale indifferenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale emerge in modo tanto più ripugnante ed offensivo, quanto maggiore è il numero di questi singoli individui che sono ammassati in uno spazio ristretto; e anche se sappiamo che questo isolamento del singolo, questo angusto egoismo è dappertutto il principio fondamentale della nostra odierna società, pure in nessun luogo esso si rivela in modo così sfrontato e aperto, così consapevole come qui, nella calca della grande città. La decomposizione dell’umanità in monadi, ciascuna delle quali ha un principio di vita particolare ed uno scopo particolare, il mondo degli atomi, sono stati portati qui alle sue estreme conseguenze. È per questo che la guerra sociale, la guerra di tutti contro tutti, è dichiarata qui apertamente. […] Gli uomini considerano gli altri soltanto come oggetti utilizzabili: ognuno sfrutta l’altro, e ne deriva che il più forte si mette sotto i piedi il più debole, e che i pochi forti, cioè i capitalisti, usurpano ogni cosa, mentre ai molti deboli, ai poveri, a malapena resta la nuda vita. [...]
   Le case sono abitate dalle cantine fin sotto i tetti, sporche di dentro e di fuori, ed hanno un aspetto tale che nessuno vorrebbe abitarci. Ma questo è ancora niente di fronte alle abitazioni negli angusti cortili e nei vicoli tra una strada e l’altra, in cui si entra attraverso passaggi coperti tra le case, e dove la sporcizia e la rovina superano ogni immaginazione: qui è difficile trovare un vetro intatto, le mura sono sbriciolate, gli stipiti delle porte e le intelaiature delle finestre spezzati e sgangherati, le porte sono formate da vecchie tavole inchiodate insieme o non vi sono affatto, in questo quartiere di ladri non sono necessarie le porte, poiché non vi è nulla da rubare.    Dappertutto sono sparsi mucchi di immondizie e di cenere, e l’acqua sporca gettata dinanzi alla porta si raccoglie in pozzanghere puzzolenti. Qui abitano i più poveri tra i poveri, gli operai peggio pagati, insieme con ladri, furfanti e vittime della prostituzione in un miscuglio eterogeneo; la maggior parte sono irlandesi o discendenti di irlandesi, e coloro i quali non sono ancora naufragati nel gorgo della corruzione che li circonda, tuttavia ogni giorno scendono più in basso, ogni giorno di più vanno perdendo la forza di contrapporsi all’influsso degradante della miseria, della sporcizia e dell’ambiente malsano.

Comprensione e collegamenti
 Esistono molte fonti per la descrizione delle città industrializzate. Metti per esempio a confronto la descrizione di Engels con quella contenuta nel testo di Mumford di un fiume inquinato nel 1862.
 Confronta questa descrizione di Manchester con il quinto capitolo di Tempi difficili di Dickens, dove è descritta la città immaginaria di Coketown, prodotto ideale, in senso negativo, del processo di industrializzazione. Evidenzia i punti di contatto e le differenze tra i due documenti.





(F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) Editori Riuniti, Roma, 1972)

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