giovedì 24 maggio 2012

LA SOCIALIZZAZIONE AL TEMPO DI INTERNET. DANNA S., L'antropologa del cyber-spazio:" Non vogliamo fidanzati robot". Intervista con S. Turkle, LA LETTURA, maggio 2012

Ha cominciato a studiare gli effetti psicologici delle tecnologie quando con il termine cyborg si definivano i giovani del Mit appassionati di intelligenza artificiale.
Trenta anni dopo, Sherry Turkle a Boston ha una cattedra di sociologia della scienza e ripensa con nostalgia a quei giorni di «innocenza informatica»: «L’ottimismo che accompagnava il nostro lavoro — racconta al telefono — era guidato da una convinzione: le tecnologie avrebbero cambiato per sempre e in meglio la vita delle persone».


Il nuovo libro di Turkle Insieme ma soli (Codice, pagine 398, € 27), che chiude la «trilogia computazionale» sulle conseguenze emotive dell’uso dei computer (dopo Il secondo io e La vita sullo schermo), arriva a distanza di 15 anni dall’ultimo, segnando una svolta nell’approccio ai new media della studiosa.
Anche se non vuole essere definita una delusa dalla tecnologia, Turkle è lontanissima dal tecno-entusiasmo di quei giorni: «Nel 1995 non capivo che i robot sociali non avrebbero solo semplificato la vita pratica degli individui ma svolto un ruolo di supplenza affettiva. Inoltre non riuscivo a immaginare che l’hardware sarebbe diventato mobile e quindi la connessione, da momento esclusivo e statico tra la persona e il computer, sarebbe diventata permanente grazie a cellulari e pc».
Attraverso decine di storie di ragazzi dipendenti da Facebook, adulti cyber-traditori e anziani affidati alla cura di robot, la psicologa racconta come queste due direzioni della cultura digitale abbiano trasformato il cervello e i comportamenti: «Non è un libro sulla tecnologia ma sulla nostra progressiva perdita di autonomia».
Turkle è convinta che gli uomini siano pronti per affidare ai robot funzioni umane: «C’è chi crede siano storie di fantascienza ma siamo già circondati da macchine che svolgono il ruolo di amici, babysitter, segretari — da Siri, il software di riconoscimento vocale dell’iPhone, ai giocattoli elettronici per bambini sempre più sofisticati». Nel libro Turkle raccoglie testimonianze di donne e uomini che si dicono aperti all’ipotesi di un rassicurante partner robot o che sperano nell’arrivo di una tecnologia di assistenza per anziani. «In Giappone — spiega — ha spopolato una campagna pubblicitaria in cui le macchine svolgono le faccende domestiche così le donne hanno più tempo per dedicarsi ai figli».
La psicologa racconta di una furibonda litigata con un giornalista di «Scientific American» che, davanti alle sue perplessità su una relazione amorosa tra un uomo e una macchina, ha accusato la studiosa di razzismo paragonandola a quelli che discriminano i rapporti tra omosessuali.
«È il web mobile e sociale che ci sta preparando a un futuro robotico», spiega Turkle. Quando è la tecnologia a costruire l’intimità tra le persone «le relazioni si riducono a semplici connessioni». La differenza tra virtuale e reale caratterizzata dall’esistenza di un mondo altro — il cyberspace — a cui era permesso accedere solo attraverso uno schermo, ha lasciato il posto al «multilifing»: «Viviamo contemporaneamente online e offline: parliamo con i nostri figli mentre controlliamo Twitter, cuciniamo leggendo le mail, stiamo a tavola con il cellulare accanto alla forchetta ipnotizzati dalla luce intermittente del BlackBerry».
I Mud (multi user domain) degli anni Novanta, le identità multiple che tanto appassionavano la studiosa, hanno lasciato il posto all’itself: «Un sé diviso tra lo schermo e la realtà fisica». Siamo immersi in una rete «debole» formata dai follower di Twitter e dagli amici di Facebook che assicurano una sensazione di compagnia mentre il telefono a portata di mano assolve dal senso di colpa dell’assenza: «Gli scambi sono brevi — dice Turkle — ma l’importante è avere un riscontro immediato, che qualcuno sia lì per noi».
Nel regno della connettività, il «meglio di niente» è stato trasformato in «meglio punto e basta». Un sms al giorno è preferibile al silenzio; il fidanzato connesso su Skype o un figlio sempre reperibile grazie all’iPhone è sempre meglio che non avere idea di dove siano.
Secondo la psicologa sui social network, oltre a vivere in una socialità fragile, offriamo una rappresentazione alterata di noi stessi: «Online gli utenti sono chi scelgono di essere, costruiscono il sé su misura dei loro desideri».
Che effetto farebbe vedere un twitterista che si districa tra le ultime notizie sulla Siria, brillanti battute sulla politica e video di Nicolas Jaar, nella sua realtà di ufficio contabile di 2 metri quadrati, vestito grigio e pausa pranzo alle 13? «Nei social network le persone si riducono a profili — incalza Turkle — e rinunciamo volentieri a vedere la complessità problematica di una persona». Abbiamo rinunciato al bene prezioso dell’attenzione esclusiva: «I teenager hanno associato la tecnologia a un’attenzione condivisa; prima di diventare uno strumento utile, il telefono è per i bambini il concorrente dell’interesse di mamma e papà». Uscendo di casa certo non si migliora: le conversazioni sono continuamente interrotte da sms, tweet e squilli. Per la psicologa siamo disposti a rinunciare a valori come la precisione, la correttezza, la concentrazione per la velocità del feedback. «Il sé formatosi in un mondo di risposte rapide misura il successo in base alle chiamate effettuate, alle mail e agli sms a cui ha risposto — scrive Turkle — in pratica ai contatti raggiunti».
Un processo irreversibile? No. La psicologa del Mit auspica il rafforzamento di una «realtechnik»: un approccio scettico verso un’idea di un progresso lineare e di una scienza che non sbaglia mai. «Dobbiamo riorganizzare le priorità e rimettere la tecnologia al suo posto: noi abbiamo inventato Internet e noi possiamo cambiarla». Si parla di valori ma la questione è semplice: «La prossima volta che guardi il cellulare mentre tua madre ti sta parlando — ammonisce la studiosa — rifletti sul gesto». Rispunta l’entusiasmo di gioventù: «Le persone sono pronte per riflettere sulle conseguenze della tecnologia». E l’antropologa del cyberspazio è pronta a convincerli.
Twitter @serena_danna
Serena Danna

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