lunedì 30 aprile 2012

STORIA DELLA SOCIOLOGIA. ADORNO, HORKHEIMER, L'industria culturale. in Dialettica dell'illuminismo (1947) a cura di M. Fagotto F.


UN GRANDE SISTEMA CONCENTRAZIONARIO OMOLOGATO E OMOLOGANTE

   La società di massa è avvolta in un sistema culturale in cui interagiscono cinema, radio, musica e stampa intese come altrettante industrie e non come produttrici di arte. Essi si inseriscono, a loro volta, all’interno di un sistema economico in cui il potere totale è quello del capitale. In questo doppio sistema gli individui agiscono in quanto produttori (lavorano) e consumatori (si divertono). Inoltre “l’aria di somiglianza” che questo sistema conferisce a tutto è propria sia di Paesi liberi che di Paesi totalitari.



RADIO

   La radio non ha alcun bisogno di fingersi produttrice di arte: essa non lo è in quanto è solo un mezzo per  fare business; gli ascoltatori sono costretti a seguire  i “programmi tutti uguali” delle diverse stazioni. Ogni traccia di spontaneità viene immediatamente addomesticata all’interno di programmi che tendono a convogliare ed assorbire ogni pericolosa presenza di diversità. Le società radiofoniche sono dipendenti dall’industria elettronica; entrambe, dunque, risultano cointeressate ed economicamente in palese conflitto di interesse.



CONSUMATORI

   Sono classificati e organizzati per bene in modo da impadronirsi facilmente di loro: “Per tutti è previsto qualcosa affinché nessuno possa sfuggire; ognuno deve sapersi orientare secondo il suo livello determinato in anticipo da indici statistici e rivolgersi alla categoria di prodotti di massa che è stata preparata per il suo tipo. Ridotti a materiale statistico, i consumatori vengono ripartiti, sulla carta geografica degli uffici studio in gruppi di reddito, in campi rossi, verdi e azzurri” (133) Al consumatore non resta nulla da fare se non consumare quanto è già stato classificato come tale dal sistema della produzione, in lui sono state atrofizzate sia l’immaginazione che la spontaneità.



OMOLOGAZIONE E STANDARDIZZAZIONE

   Già per la radio si diceva di programmi tutti uguali trasmessi da stazioni diverse. La stessa cosa accade per altri tipi di prodotti: nessuna differenza fra automobili Chrysler o General Motors come pure fra un film della Warner o della Metro Goldwin Mayer: “Ma anche fra i tipi più cari e meno cari della collezione di modelli di una stessa ditta le differenze si riducono sempre più: nelle automobili a varianti nel numero dei cilindri, nel volume, nel numero dei gadgets; nei film, a differenze nel numero dei divi, nello sfoggio dei mezzi tecnici, manodopera, costumi e decorazioni, nell’impiego di nuove formule psicologiche” (134). Anche il cinema e la musica non sfuggono alla regola: “Si può sempre capire subito, in un film, come andrà a finire, chi sarà ricompensato, punito o dimenticato; per non parlare della musica leggera dove l’orecchio preparato può, fin dalle prime battute del motivo, indovinare la continuazione e sentirsi felice quando arriva” (135). Allo stesso modo: “i cineasti considerano con sospetto ogni manoscritto dietro cui non si trovi già un rassicurante best-seller (…) aggiunte all’inventario culturale sperimentato sono troppo rischiose e azzardate” (145)



IL TRIONFO DEL CAPITALE

   Il potere totale del capitale esige che esso diventi il leit motiv dominante all’interno di ogni settore produttivo: “E’ il trionfo del capitale investito. Imprimere a lettere di fuoco la sua onnipotenza – quella del loro padrone- nel cuore di tutti gli espropriati in cerca di impiego, è il significato di tutti i film, indipendentemente dall’intreccio che la direzione della produzione scegli di volta in volta” (134). In ciascuno prodotto si manifesta il modello del “gigantesco meccanismo economico che tiene tutti sotto pressione fin dall’inizio, nel lavoro e nel riposo che gli assomiglia” (137)



IPERREALISMO

   Nel cinema, in particolare, si fa largo una tendenza divenuta, in breve, il criterio stesso della produzione cinematografica. Si tratta sempre più di rendere indistinguibili realtà effettiva e realtà cinematografica: “La vita non deve più potersi distinguere dal film” e questo accade a partire dall’avvento del film sonoro. L’iperrealtà prodotta dal cinema è vista da Adorno come un’imboscata tesa ai danni dell’immaginazione e al pensiero critico dello spettatore.









TEMPO DEL LAVORO E TEMPO LIBERO SI PROLUNGANO L’UNO NELL’ALTRO

  Nessuna distinzione fra tempo del lavoro e tempo libero. La stessa logica che presiede al tempo della produzione governa quella del tempo libero. Infatti il divertimento, contro ogni aspettativa, è il “prolungamento del lavoro sotto il tardo capitalismo (…) La meccanizzazione ha acquistato tanto potere sull’uomo durante il tempo libero e sulla sua felicità, determina così integralmente la fabbricazione dei prodotti di svago che egli non può più apprendere altro che le copie e le riproduzioni del processo lavorativo stesso. Il preteso contenuto è solo una pallida facciata; ciò che si imprime è la successione automatica di operazioni regolate. Al processo lavorativo nella fabbrica e nell’ufficio si può sfuggire solo adeguandosi ad esso nell’ozio” (148). Tutto ciò va a svantaggio del vero divertimento in quanto il prodotto (spettacolo) consumato, scontato e prevedibile, finisce per annoiare dato che il “prodotto prescrive ogni reazione” (148). L’unico divertimento consentito diventa schiavo dell’industria che lo produce come bisogno; in esso si può “avvertire la manipolazione commerciale, il sales talk, la voce dell’imbonitore da fiera” (156)



CARTONI ANIMATI E IDEOLOGIA DELLA VIOLENZA

   Anche i cartoni animati non sfuggono alle regole spietate del sistema. Anzi, in essi si nasconde l’ideologia profonda che lo nutre: sempre più spesso, in questi prodotti, “fra gli applausi del pubblico il protagonista viene scaraventato da tutte le parti come uno straccio. Così la quantità del divertimento organizzato trapassa nella qualità della ferocia organizzata (…) Se i cartoni animati hanno un altro effetto oltre quello di assuefare i sensi al nuovo ritmo, esso è quello di martellare in tutti i cervelli l’antica verità che il maltrattamento continuo, l’infrangersi di ogni resistenza individuale è la condizione della vita in questa società. Paperino, nei cartoni animati, come gli infelici nella realtà, ricevono le loro botte affinché gli spettatori si abituino alle propri. Il piacere della violenza fatta al personaggio trapassa in violenza contro lo spettatore” (149).



SESSUALITA’ STIMOLATA E REPRESSA

   Gran parte dei consumi culturali di massa ruotano attorno al tema sessuale, lo evocano, lo stimolano nel consumatore e, al tempo stesso, lo reprimono e soffocano: “L’industria culturale non sublima, ma reprime e soffoca. Esponendo sempre di nuovo l’oggetto del desiderio, il seno nello sweater (maglione) e il busto nudo dell’eroe sportivo essa non fa che eccitare il piacere preliminare non sublimato che, per l’abitudine della privazione, è divenuto da tempo puramente masochistico (…) L’industria culturale è pornografica e prude (ipocrita)” (151); “La frustrazione permanente imposta dalla civiltà viene nuovamente impartita e dimostrata alle sue vittime senza possibilità di equivoci in ogni spettacolo dell’industria culturale. Offrire loro qualcosa e privarneli è un solo e medesimo atto. Tutto si aggira intorno al coito proprio perché esso non può mai aver luogo” (152)



IMITAZIONE, RELIGIONE DEL SUCCESSO E DISILLUSIONE

   Nel sistema dei media e dell’industria culturale forte è il fenomeno dell’illusione imitativa legata all’ideologia del successo. Tutti vorrebbero diventare simili ai personaggi esibiti dal sistema dello spettacolo, ma, si sa, solo uno o solo una potranno aspirare ad esserlo davvero: “Solo una può avere la grande chance, solo uno è famoso ed anche se tutti, matematicamente, hanno la stessa probabilità, essa è, tuttavia, per ognuno, così minima che farà bene a cancellarla subito e a rallegrarsi della fortuna dell’altro che potrebbe essere benissimo anche lui e che, tuttavia, non è mai. Dove l’industria culturale invita ancora ad una identificazione ingenua, questa è subito prontamente smentita” (157).



PSEUDO-INDIVIDUALITA’,  MORTE DEL TRAGICO,  SPIRITO TRIBALE

   Altro fenomeno della società di massa e dell’industria culturale è quello della pseudo-individualità e del conformismo. Ad esso si collega la liquidazione del senso del tragico. Il senso del tragico era la capacità da parte dell’individuo di opporsi alla società. Questo sentimento, come scriveva Nietzsche, esaltava “il valore e la libertà d’animo davanti ad un nemico potente,ad una avversità superiore,ad un problema raccapricciante” (165). Nella società di massa, di fatto, gli individui devono, invece, sottoporsi ad un permanente rito di iniziazione perché la loro meta, designata in anticipo, è l’identificazione progressiva e inevitabile col potere di ciò che gli autori chiamano sprezzantemente racket (in inglese, il termine designa attività criminose finalizzate al controllo di attività economiche): “Il contegno del singolo verso il racket –ditta, professione o partito – prima o dopo l’ammissione, come quello del capo davanti alla massa, dell’amante di fronte alla donna corteggiata, assume tratti tipicamente masochistici. Il contegno a cui ognuno è costretto per provare sempre di nuovo la sua appartenenza morale a questa società, fa pensare ai ragazzi che, nel rito di ammissione alla tribù, si muovono in cerchio, con un sorriso ebete, sotto i colpi del sacerdote. La vita, nel tardo capitalismo, è un rito permanente di iniziazione” (164). Un processo, questo, che finisce per far somigliare il sistema che lo alimenta al peggior sistema totalitario: “Ma il miracolo dell’integrazione, il permanente atto di grazia dei padroni di accogliere chi cede ed inghiotte la propria riluttanza, tende al fascismo” (166). Funzionale ai sistemi totalitari è proprio questa specie di pseudo-individuo capace sempre di sgusciare, di arrangiarsi, di sopravvivere, di mostrarsi duttili e plasmabili per ogni situazione: “La pseudo-individualità è la premessa del controllo e della neutralizzazione del tragico” (167). Secondo gli autori, questo aspetto fittizio avrebbe da sempre caratterizzato il soggetto umano all’interno dell’intera epoca borghese. Un soggetto caratterizzato dal desiderio di “perseguire sempre e soltanto il proprio scopo” (167)

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